La storia del pigiama
Anonimo
Ci accompagna tutte le notti e tutti ne possediamo almeno uno.
Indossandolo ci sentiamo immediatamente a nostro agio, comodi e rilassati, ci sentiamo a casa.
Questo indumento semplice ma indispensabile, è diventato, da 60 anni a questa parte, un vero e proprio “must have”.
La parola “pigiama” deriva dall’hindi “pae jama”, che, tradotto letteralmente significa “vestito per le gambe”.
Il completo tunica e pantaloni è infatti nasce nell’ antica Persia passando poi in India, dove ancora oggi rappresenta l’abbigliamento tradizionale e quotidiano di alcune regioni come il Punjab.
Con la colonizzazione dell’India da parte degli inglesi nel 1870 il pigiama venne adottato dagli anglosassoni come indumento da notte, sostituendo così le vecchie camicione.
Questo completo di due pezzi, inizialmente utilizzato dai soli uomini venne poi ad inizio secolo utilizzato anche per i bambini in funzione della sua incredibile praticità.
Nel 1910 lo stilista Paul Poiret propose, tra le sue scandalose e rivoluzionare creazioni, dei pantaloni ampi, vagamente maschili, molto simili ai pigiami maschili in auge a quel tempo, gettando un primo seme per la diffusione di questo indumento anche presso il genere femminile.
Difatti nei ruggenti anni ’20, le vere Flapper Girls, emancipate e trasgressive iniziarono ad indossare questo capo in camera da letto.
In quegli anni, la leggendaria Coco Chanel indossò un completo simile al pigiama, composto da pantaloni larghi e un camicione, per la spiaggia facendo nascere così il “Beach pajama”. Questo look destò gran scalpore tra i ben pensanti del tempo ma questo non gli impedì di spopolare tra le ragazze più ardite dell’epoca.
Pensate che la stazione balneare di Jean-le-Pin ad Antibes, dove Mademoiselle amava camminare con indosso i suoi pigiami di seta ornati da collane di perle, venne ribattezzata “Pyjamapolis“, dato che la gran parte dei suoi avventori divennero soliti indossare pigiami secondo la moda dettata da Chanel.
C’era addirittura chi sfoggiava in maniera disinvolta per le vie della cittadina dei veri e propri pigiami da camera, con tanto di vestaglia come fossero completi eleganti da passeggio.
“C’è una città in Francia, dove le estati iniziano all’inizio della primavera e finiscono alla fine dell’autunno”, scriveva il giornalista Robert de Beauplan nel 1931. “Lì, puoi vedere donne che indossano abiti strani. Stiamo parlando di Pyjamapolis.” Nello stesso anno, Vogue magazine suggeriva che: “Una donna dovrebbe indossare pigiami in cene abbastanza formali a casa sua, a cena a casa di altri in città o in campagna, se si conoscono bene, mentre le più giovani e iconoclaste lo portano anche a teatro”.
Di li a poco, la moda dei pigiami esplode, facendo sì che il loro utilizzo non sia limitato alla sola spiaggia. Nel 1933 Daisy Fellowes, editor parigina di Harper’s Bazaar (oltre che erede della dinastia Singer) lanciò una vera e propria moda ricevendo ad un party i blasonati ospiti della rivista in un pigiama di seta blu pavone.
A contribuire alla diffusione dei pigiami tra le signore pensò anche il cinema, con il film del 1934 “It Happened One Night”, dove l’attrice Claudette Colbert indossava con grande eleganza pigiami maschili.
Da allora il pigiama divenne un must per le dive dal grande schermo, da Greta Garbo a Joan Crawford.
Durante la seconda guerra mondiale la moda del pigiama svanisce, questo articolo viene surclassato in spiaggia dal costume da bagno, mentre in camera da letto è boom di capi sexy come baby doll e negligé.
Nel 1960 il pigiama ritorna finalmente in auge grazie alla stilista Irene Galitzin, che per la sua collezione presentò completi costituiti da pantaloni e da casacche con collo e polsi ricamati, in shantung di seta dai colori sgargianti. La fashion editor di Harper’s Bazaar Diana Vreeland entusiasta battezzò questo nuovo outfit come: “pyjama palazzo”.
Il pigiama palazzo conquista immediatamente le donne del jet-set internazionale. Jacqueline Kennedy in una lettera su carta intestata ‘White House’, scriveva queste parole all’amica Irene Galitzine: “Vorrei che ci potessi vedere, qui sembra di essere in convento, io, Jayne, Marella e Lee (ovvero Jayne Wrightsman, Marella Agnelli, e Lee Radziwill, sorella di Jackie, ndr) siamo ogni sera in uniforme”
Quella nuova uniforme cui allude Jackie, il pigiama palazzo, compare subito indosso anche ad altre dive dell’epoca come Liz Taylor, Audrey Hepburn, Claudia Cardinale, Monica Vitti e Soraya.
C’è addirittura chi poi, come Barbara Streisand nel 1969, per ritirare l’Oscar sceglie un pigiama tempestato di paillettes creato per lei da Arnold Scaasi.
Negli anni ’70 diversi stilisti si cimentano a reinventare il Pigiama Palazzo secondo le tendenze del tempo, con frange e perline.
Emilio Pucci lo propone nella mitica stampa floreale, mentre il designer americano Halston in una versione più minimal in raso.
Nel frattempo prendono piede anche versioni unisex e etniche del pigiama, ispirate ai tradizionali modelli cinesi e vietnamiti, frequentemente indossati per comunicare idee politiche anti-conformiste.
Dagli anni Ottanta il pigiama sarà confinato tra le mura domestiche, mentre negli anni ‘90 torna alla ribalta. Dal video di Creep delle TLC, storico gruppo pop di quegli anni, fino alle varianti grunge a stampa scozzese o a quadretti, rese celebri da Jennifer Aniston in Friends, o da Kurt Cobain che, addirittura, si sposerà in pigiama.
Negli anni 2000 Dolce&Gabbana lo riportano in auge e creano quello che si può definire un outwear deluxe, sia per lui che per lei, di completi pigiama e vestaglia. Nel 2013 è poi la volta di Marc Jacobs, Gucci e Prada a portarli in passerella.
Dalle catwalk all’armadio delle celebrities il passo è stato ovviamente breve, sono tantissime le vip che ormai indossano il pigiama nel tempo libero, come sul red carpet, da Gigi Hadid a Olivia Palermo, passando per l’influencer Giulia Valentina.
È stato uno dei capi più iconici di sempre e il suo impero è destinato a proseguire per molti anni ancora sia dentro che fuori dalla camera da letto.
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